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3              Ma perché (qualche volta, spesso, sempre, dipende…) si è cattivi?

Abbiamo deciso che gli animali non sono cattivi, anche se fanno del male seguono la loro natura, mentre l’uomo si rivela cattivo quando volontariamente e coscientemente produce del mare attorno a sé.

Ma perché l’uomo è cattivo? Ecco una bella domanda a cui da migliaia di anni di uomini provano a darsi una risposta e, probabilmente, non ci sono ancora riusciti.

È una domanda che si sono già poste antiche civiltà di cultura, ad esempio identificando l’origine del male nel mito immaginando come due dei, uno del bene e uno del male, che si fronteggiano si combattono. Ora vince l’uno ora vince l’altro.

Il discorso dei due principi che sono presenti nell’uomo del bene del male lo troviamo rappresentato in un famoso romanzo scritto da Robert Luis Stevenson nel 1886: “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, uno dei grandi classici della letteratura fantastica. Nel romanzo la stessa persona può essere il dottor Jekyll oppure il signor Hyde (il malvagio assoluto). Ma passare dall’una all’altra natura dipende da un filtro che il dottor Jekyll ha creato.

Il racconto è una parabola del Male, emerge infatti che nell’essere umano vi sono due differenti nature, due tendenze comportamentali (o semplicemente personalità), una rivolta verso il Bene, l'altra si rivolge al Male assoluto, ed esse continuamente sono in contrasto fra di loro, con l’obiettivo di prendere il dominio assoluto sull’individuo. Vediamo che l’autore è affascinato dalla presenza del male e dal fatto che l’animo umano talvolta è in confusione proprio in questo campo: vorrebbe il bene (che sa bene cosa è) ma poi alla fine si trova a scegliere il male...

E, infatti, noi, per essere talvolta un po’ (senza esagerare) dottor Jekyll e mister Hyde, non abbiamo bisogno di filtri.

E se provassimo a riflettere su questo argomento per arrivare capire qualcosa di più su chi siamo noi come uomini?

Una classe di scuola visita un castello medievale ben conservato, dopo aver visitato tutti i locali tutti gli spazi giunge alla prigione e alla sala della tortura, dove sono ancora esposti alcuni strumenti che nel passato, purtroppo, hanno fatto il loro servizio. La guida di descrivere impressionando particolarmente i ragazzi. “Vedete, dice la guida, a quel tempo il primo obiettivo non era quello di uccidere, che quasi sempre seguiva, ma era quello di fare soffrire”.


 

Ecco questa frase della guida può essere riportata in tutti i tempi della storia dell’umanità. Non ci sono state guerre o conflitti, o dittature nei quali la malvagità dell’uomo in guerra non abbia raggiunto vette incredibili. L’uomo non uccide soltanto come gli animali con una motivazione magari falsa, ma prova anche un gusto e una tendenza ad essere feroce, a fare soffrire. Molte volte capita, ma non è una loro colpa perché non ne sono consapevoli, che persino i bambini con i coetanei riescano ad essere molto crudeli, magari con le offese e poi quante volte i bambini cercano di fare del male anche ai fratellini perché soffrono di crisi di gelosia in quanto pensano che il fratellino porti via a loro l’attenzione e l’affetto dei genitori. Seguono un po’ il loro istinto, per cui è compito dell’adulto portarli a capire che non si fa del male all’altro e che l’affetto e l’attenzione hanno molti modi di esprimersi e, pertanto, il bambini più piccolo ha più bisogno di attenzioni.

Però non è sempre così, a complicare la cosa poi troviamo, sempre nella storia, persone che per fare del bene agli altri hanno sacrificato tutto di se stessi, talvolta anche la vita. E, allora, come la mettiamo? Qual è il vero uomo? Quello che uccide o quello che salva la vita magari a costo della propria?

Prendiamo qualsiasi bambino molto piccolo, anche si combina le marachelle, anche se qualche volta si mostra crudele, non è certo un bambino cattivo, per lo meno non lo fa con intenzione di essere crudele o cattivo. Ma, una volta cresciuto, potrebbe diventare una persona profondamente malvagia. Come mai?

Perché l’uomo, o almeno quell’uomo (non bisogna mai generalizzare!)  è cattivo? Ve lo siete mai chiesto? Oltretutto l’uomo non fa del male solo agli altri, anche del male se stesso, ad esempio distruggendo e rovinando l’ambiente e creando condizioni di vita sempre più difficili anche per se stesso. E nonostante oggi siamo a conoscenza delle leggi che regolano la vita sulla terra tuttavia l’uomo, pur essendo le consapevoli dei pericoli, continua per la propria strada, nonostante che la conoscenza, l’intelligenza, la ragione dimostrino chiaramente quale sarebbe la strada da seguire. Peggio ancora, talvolta le capacità e le conoscenze che l’uomo possiede sono utilizzate per raggiungere delle vette di malvagità che nessuno avrebbe pensato possibili.

Nel frattempo siamo tutti convinti che ciò che facciamo è male?

Offendere un compagno in teoria sappiamo che è male (perché lo fa soffrire) ma “in pratica” se lo vogliamo prendere in giro, non stiamo tanto a pensarci su. È abbastanza istintivo fare questa non bella azione e poi, di solito, non riflettere se la nostra azione ha avuto delle conseguenze.

Viceversa, se vogliamo fare una buona azione, qualche volta vorremmo essere lasciati in pace e pensare che siano gli altri a preoccuparsi, come nel caso se ci viene chiesto di impegnarci in una raccolta di offerte per qualche buona causa.

Siccome questa è una esperienza che facciamo tutti diciamo che è più facile fare del male piuttosto che operare per il bene? Fare del bene richiede un certo impegno, fare del male basta solo lasciarsi andare.

Ma allora “per la nostra costituzione o, se vogliamo, per la nostra natura, noi siamo “cattivi”? E, soprattutto con l’avanzare delle conoscenze o della civiltà o della cultura, siamo diventati più buoni? Questa è una questione su cui tanti hanno discusso e forse si può sempre proporla di nuovo per vedere come la pensiamo.

Alcuni dicono che l’uomo per natura sarebbe buono ma l’ambiente, la società lo corrompono e lo rendono cattivo. Ma se l’ambiente è composto da uomini naturalmente buoni (singolarmente) come mai quando sono insieme e formano una società questa diventa capace di generare cattiveria? Perché succede che magari in un gruppo o in mezzo a una folla l’uomo commette azioni che, da solo, mai sarebbe giunto a compiere

La risposta potrebbe essere forse un po’ più semplice, che alla fine siamo tutti portati a pensare in qualche modo che essere buoni sia un po’ da fessi, mentre è importante nella vita avere successo, arrivare primi, essere invidiati e ammirati e questo non si raggiunge con le azioni buone (al massimo si diventa santi, ma dopo la morte), mentre in questa mondo è meglio percorrere altre strade e queste, nella gara della vita, possono richiedere la capacità di far stare indietro o addirittura far cadere gli altri per avvantaggiarsi con qualsiasi mezzo anche quelli scorretti o addirittura malvagi.

Ecco perché in fondo siamo tutti un po’ cattivi perché seguiamo la nostra natura. Certo poi ci sono quelli che diventano “tanto” cattivi ma allora bisognerebbe conoscere la storia della loro vita per capire come lo sono diventati, attraverso quali condizionamenti, quali strategie, non sono cattivi ma sono stati fatti diventare cattivi!

Esiste il male?

Come no! Si risponde alla notizia di un attentatore kamikaze che si fa esplodere in un mercato quotidiano o nel mezzo di un concerto.

Esiste il mare di fronte un femminicidio di un marito o fidanzato che non tollera che la sua moglie o fidanzata lo lasci? Come no!

Esiste il male in un politico o amministratore che prende delle mazzette da un industriale? Si ma solo se si fa beccare perché così finisce male, ma se è tanto furbo….

Esiste il male se alcuni godono di ogni bene materiale al di là dei loro bisogni e altri che invece quasi muoiono di fame mancando anche del minimo necessario alla loro sussistenza? Ma, dai cosa c’entra? esistono persone che hanno saputo farsi valere nella vita (ma come?). Hanno delle qualità e quindi dei meriti, mica è colpa loro se altri più sfortunati non c’hanno saputo fare o sono nati nel posto sbagliato!

Nota: forse sarebbe meglio usare il termine “azioni cattive”, se no uno va a pensare che ci sia un sostantivo che identifica non si sa bene cosa. Del resto, diciamo che esistono persone buone, che fanno azioni buone, ma che non è giusto pensare al Bene (sostantivo, vedi il capitolo precedente) come una categoria astratta.

Ma, mentre siamo tutti convinti che dare un calcio a un compagno produce sofferenza e quindi è sicuramente un’azione cattiva, che sia male anche la povertà che c’è in tanti paesi nel mondo siamo anche d’accordo, però di chi sarebbe la colpa? In questo caso pensiamo che sia una cosa che capita come i terremoti, le inondazioni, cioè delle fatalità, sinonimo di sfortuna.

Una delle caratteristiche dell’uomo è che non è obbligato a fare il male, se lo fa, lo fa per scelta. Su questo siamo tutti d’accordo, ma alcuni mica tanto, perché si pensa che l’uomo non possa agire liberamente, ma sia costretto a un certo comportamento dalle condizioni di vita, dalla società, dalla sua costituzione fisica e mentale, insomma non sia libero e quindi non del tutto colpevole di quello che lui compie, un po’ come a scuola, quando di un alunno svogliato si dice che è colpa della famiglia che non lo segue, dei problemi della crescita, che ha dei limiti, e allora magari lo si promuove alla classe successiva ma non si promuove l’alunno, cioè non lo si fa crescere, maturare, lo si fa restare sempre allo stesso livello. La persona secondo questo modo di pensare viene deresponsabilizzata dei propri atti. Capita questo molte volte nei processi per qualche delitto quando l’avvocato difensore cerca di far apparire non pienamente sano di mente il criminale.


 

Ma perché è così facile fare il male?

Anzitutto proviamo, a riflettere: siamo capaci di dare un giudizio “giusto” (vedremo in un prossimo capitolo cosa indichiamo con l’aggettivo “giusto”) alle azioni che, facciamo ogni giorno? Una volta si consigliava alla sera di “fare un esame di coscienza” cioè di rivedere la nostra azioni più importanti della giornata e di dare ad esse un giudizio. “Ho offeso un compagno? Si però era colpa sua, mi ha provocato... cioè cerchiamo delle scusanti a una nostra azione anche se siamo consapevoli che non è stata una gran bella azione... domandare scusa, cioè riconoscere il male di un’azione è sempre molto difficile. Però nel silenzio della nostra camera da letto e in una specie di dialogo tra noi stessi (dialogo interiore) forse è più facile arrivare alla verità: a pensarci bene, forse avevo delle scuse ma ho sbagliato, del litigio violento un buona parte è stata colpa mia…

Poi su certe azioni abbiamo le idee molto chiare. Chi, se non un malvagio del tutto, direbbe che uccidere una persona non sia una cosa molto grave. Per stiamo attenti, anche in questo caso le scusanti possono entrare lo stesso: “quell’uomo ha ucciso un ladro entrato in casa ma doveva farlo, o almeno il ladro se l’è cercata”.

Ma su altre abbiamo dubbi: “dobbiamo pagare una tassa, però se magari poi non vanno a controllare, faccio anche bene e non pagarla”.

Ma se in questo cosiddetto “esame di coscienza” (lo facciamo qualche volta?), invece di pensare soltanto se abbiamo fatto delle cattive azioni, pensassimo di dare un valore a una azione? Quindi non si tratta di fare l’elenco delle azioni “cattive”, magari quel giorno siamo stati “buoni” e non ce ne sono state. Ma ci sono azioni, atteggiamenti, che hanno un significato. Noi magari sul momento non ce ne accorgiamo ma poi ripensandoci (se siamo capaci di “ripensare”) …

Cosa vuol dire azione che ha un valore…

… e quindi noi indichiamo con l’aggettivo significativa? Che quella azione, o anche quel gesto, non è banale e ripetitiva come tantissime azioni che facciamo ogni giorno, può aver portato un cambiamento positivo in noi (ad esempio una piccola o grande conquista per noi stessi) oppure che è stata notata dalle persone con le quali siamo stati in relazione quel giorno. E infatti come sinonimi di significativo sono indicate le parole rilevante, importante. Ovviamente questo vale per un’azione buona ma è significativa anche un’azione cattiva (e allora non sarà una vittoria ma una sconfitta che noi riportiamo…). Credo che non sia difficile recuperare un elenco anche fitto di esperienze (positive o negative) significative nel proprio ricordo.

E così impariamo a dare un giudizio sull’azione ma anche su noi stessi (“perché mi sono comportato così offendendo? Cosa mi ha spinto a dare una mano o a fare un gesto di gentilezza verso un compagno/compagna che prima neppure mi accorgevo che c’era?”).

Il giudizio su quella azione compiuta diventa un giudizio morale. Riconosciamo che è stata un’azione buona o cattiva.

Il fondamento del giudizio del bene e del male e il criterio che lo stabilisce è la nostra coscienza morale (ne parleremo successivamente).

A questo punto noi possiamo giudicare in due modi (e questo vale non solo per le nostre azioni, ma anche quando ci formiamo dei giudizi sul mondo che ci circonda che poi ci accompagneranno per tutta la vita.

Possiamo giudicare riflettendo ed esaminando con la ragione, oppure possiamo lasciarci trascinare dall’emotività e dall’istinto. Ragionamento ed emotività sono sempre presenti in noi, solo che spesso l’emotività è più facile che faccia presa e abbia il sopravvento. Ciò è quello che avviene sempre ma certamente soprattutto nel periodo presente in cui viviamo la nostra vita, soprattutto perché le informazioni che noi riceviamo sono informazioni “visive”, non discorsive, e queste puntano quasi interamente sull’emotività.


 

Qualche (provvisoria) conclusione.

Ci avviamo verso la fine di questa seconda serie di riflessioni fissando alcuni punti che possono già essere considerati delle prime conclusioni.

Abbiamo concordato (si spera!) Che l’uomo non è obbligato a fare il male ma, se lo fa, prima c’è stata una scelta, magari per ignoranza o fatta senza riflettere. Se l’uomo per qualche motivo ha fatto un’azione cattiva ma non ha scelto di farla, non ne è responsabile.

Noi qui la parola “male” la usiamo nel senso di azione fatta da noi e che produce sofferenza in noi stessi, sugli altri e anche dove lui agendo provochiamo delle modificazioni.

Anche se usiamo la parola “male” molto spesso, non riteniamo facciano parte espressioni termini come: delusione, tristezza… (“L’esito di questa interrogazione “andata male “mi fa male”) però se l’esito dipende dal fatto che prima ho fatto la scelta di chattare con gli amici e di non prepararmi, allora, a fondamento del mio insuccesso c’è stata una “scelta sbagliata”. Di questa noi siamo responsabili, cioè dobbiamo rendere conto, rispondere.

Finora abbiamo parlato di azioni cattive e, quindi, di coloro che operano il male, producono cioè sofferenza. Adesso spostiamo la nostra attenzione dall’altra parte, cioè dalla parte di coloro che il male lo subiscono, sono vittime del male. Insomma, nella presenza di azioni cattive ci sono gli attori e i coloro che le subiscono (perseguitati)

Quali possibilità hanno costoro e come potrebbero comportarsi nel momento in cui si trovano proprio da questa parte sfortunata?

Un primo atteggiamento, istintivo direi naturale, della vittima potrebbe essere quello di comportarsi allo stesso maniera, non soltanto ricorrendo a qualcuno che lo possa proteggere denunciando il fatto, ma passando egli stesso dalla parte del male e reagendo con le stesse armi, magari cercando alleati dello stesso tipo per rafforzarsi. È così che nascono le “gangs”, che si affermano quando alcuni vogliono avere la prevalenza e il controllo del territorio su altri che hanno la stessa intenzione. Succede, quindi, che in caso di una rissa violenta alla fine non si sa più bene chi aveva iniziato ed è il vero colpevole della situazione. Addirittura può succedere che la vittima diventi l’aggressore e venga sanzionata per questo.

Se non si pensa di avere capacità di risposta al male, talvolta la via preferita è la fuga, nascondersi, cercare di non farsi notare, o, addirittura, accettare di “essere la vittima”. Questo è il sistema più facile perché chi è cattivo lo diventi ancora di più, perché rafforza il sentimento di sentirsi dominatore. Il film del ciclo Fantozzi, pur esageratissimi, tuttavia danno un’idea di cosa vuol dire essere vittima.

C’è poi l’atteggiamento di chi, pur non essendo vittima diretta di qualche provocazione malvagia, guardandosi attorno giunge alla convinzione in tutto l’ambiente e il mondo che lo circonda predomina la cattiveria, l’egoismo, l’invidia, l’ipocrisia eccetera, che non ci sono persone altruiste, ma solo interessate a trarre dei vantaggi anche senza violenza ma con modi subdoli, magari con l’inganno…

Costui porta dentro di sé un pessimismo, una tristezza che alla fine lo conduce a pensare che: tanto il mondo va così, non c’è niente da fare… In questo modo, e di pur potendo fare qualcosa, come si dice “si tira fuori”, sta per conto suo cercando di evitare il più possibile conflitti rogne. È il caso di una persona che possiamo chiamare “pecora”: sta nel gruppo cerca solo di non farsi notare per non essere preso di mira…

Infine, pur mettendo in atto tutte le forme di legittima difesa e di solidarietà contro il male presente attorno a sé, bisogna cambiare prospettiva: guardarsi attorno per vedere anche se qualcuno fa azioni buone, se è fedele, altruista, sa darti una mano eccetera.

Di conseguenza, dopo avere parlato tanto del male, forse è giunto il momento di puntare a parlare del bene, non avverbio ma indicante azioni buone, fatte bene, che producono bene attorno a sé.


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