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Se potete, fate un viaggio a Cuba. Perché è assolutamente bella e perché ci sono mille cose da vedere e, soprattutto, una storia da osservare. Io da buon turista europeo ho fatto il classico tour seguito da una settimana di spiaggia sul mare caraibico dell’oceano atlantico e me ne sono pentito. Avrei dovuto fare al contrario un tour di 14 giorni, magari inframezzato da un paio di giorni di riposo sul mare; è un viaggio però piuttosto faticoso e richiede un certo spirito di adattamento.

Per quel poco che ho visto, ho capito come, anche da insegnanti, bisognerebbe preparare i cosiddetti viaggi di istruzione. Ammesso che, a parte l’ultimo anno delle superiori, se ne facciano ancora, certamente non a Cuba ma anche con mete vicine tutte nostrane, il principio è sempre lo stesso. Perché si viaggia per conoscere e, quindi, per costruire il nostro il nostro modo di pensare, di giudicare.

Quali le motivazioni che possono convincere uno a fare un viaggio a Cuba?

Il mare caraibico e le spiagge caraibiche nei lunghi mesi invernali dei nostri lidi sono senz'altro caldi e splendidi, ma, forse, per il clima, sarebbero da preferire le Canarie. Nell’isola anche d’inverno il clima è certamente caldo, ma rimane umido, può essere addirittura (relativamente) freddo, se arrivano sull'isola le correnti portate dalle tempeste di neve del Nord America, come è capitato a me.

Sicuramente resta un ricordo forte e indimenticabile una passeggiata di 5 chilometri nell’autentica giungla tropicale del parco dell’Escambray, assolutamente percorribile, ma comunque immersa in una effettiva atmosfera da Indiana Jones.

Ad attirare può essere anche il pensiero che, si dice, anche Cuba sta cambiando, fra poco arriveranno gli americani e luoghi così suggestivi non saranno più così incontaminati. Tornerà ad essere la Cuba degli anni di Batista, un’altra Florida, senza una propria identità? A me, tuttavia, l’isola è sembrata alquanto immobile e fortemente caratterizzata nel suo spirito. Essendo la prima volta che la visito, non posso aver notato cambiamenti, è solo un’impressione.

Forse, chissà, agisce anche in qualcuno una qualche attrazione di pellegrinaggio alle origini delle nostre rivoluzioni giovanili contro gli Amerikani nel nome del Che?

E pertanto, viaggio di assoluto relax di scoperta di un’isola tropicale o recupero di emozioni e di ricordi?

Un richiamo, mi si permetta, professionale: è sulla parola impressioni che richiamo qui come elemento fondamentale quando si parli di un normale tour turistico, che pur con qualche problema organizzativo, si è svolto secondo un preciso programma tour e sosta al mare.


 

Nei primi anni di insegnamento, ed era qualche generazione fa, ricordo che nel piano di lavoro di italiano che elaboravo a inizio di ogni anno insistevo molto sull’apprendimento alla osservazione, senza rendermi conto fino in fondo cosa esattamente significasse apprendere ad osservare.

Il significato profondo del verbo l'ho ritrovato proprio in questa esperienza turistica. Non conosco lo spagnolo e, ovviamente, per lo svolgimento del tour mi appoggiavo alla guida assegnatami (a metà viaggio ho appreso che era dipendente dal ministero della difesa, quindi militarizzata, anche se non apparteneva alla polizia o all’esercito) che mi dava le solite notizie, che del resto già conoscevo dal momento che, preparando il viaggio, avevo già raccolto una serie abbastanza completa di informazioni artistiche, storiche, geografiche.

Preferivo quindi ascoltare, ma non tanto attentamente la guida e intanto guardarmi attorno, annotando dentro di me una serie di input che lo sguardo mi portava dentro dai luoghi, dalla gente che mi circondava e passava accanto. Le scosse non le ho avute tanto nella visita ad L’Habana capitale dello Stato che, come ogni capitale, ha certi luoghi comuni prevedibili: confusione, clamore di auto, traffico abbastanza impegnativo, palazzi storici e quartieri moderni, ma non così caotico come in tante altre grandi città del mondo che, da turista, ho superficialmente visitato.

Comunque zone coloniali, abbastanza intatte, con palazzi ben conservati del primo novecento sono facilmente ben individuabili ne L’Habana vecchia. Semmai, lì, la vera prima sorpresa sono state le auto d’epoca, come diremmo noi, Buick, Chevrolet, Ford degli anni 50 che ancora con i loro sessant’anni e più sulle spalle viaggiano, non si capisce come (ma, si dice, perché i cubani sono dei maghi della meccanica, anche se non si trovano i pezzi originali aggiustano tutto) e l’automobile va, ma spesso se ne vedono parecchie in panne lungo le strade fuori della città ad aspettare qualcuno che dia una mano per risolvere il problema.

Le vere scoperte, che portano con sè una serie di riflessioni, su cui si costruiscono dei sentimenti e successivamente delle convinzioni, le ho ricavate nei piccoli centri rurali attraverso cui abbiamo transitato, nelle piccole città di provincia che facevano parte del tour.

Della situazione politica di cui tanto si parla, e sulla quale tutti vorrebbero trovare un’immediata risposta, è su quanta libertà di dissenso o di libera espressione ci possa essere oggi nell’isola, non posso dire nulla perché appunto, mancando la comunicazione linguistica, è mancata la possibilità di parlare con la gente, né la guida, prevedibilmente, si è sbottonata più di tanto, a qualche mia precisa domanda ha risposto in modo elusivo.

Ma l’osservazione ha rivelato molto: nei lunghi tratti tra una città all’altra sono frequentissimi i grandi cartelloni con l’immagine di Fidel e del Che, che, forse in modo ossessivo, richiamano ai doveri del cittadino nel costruire la Rivoluzione, e, soprattutto ben specificata, la Rivoluzione socialista; mi colpisce soprattutto la frase che “la Rivoluzione è eterna”; con quanta frequenza sia unito il richiamo alla Unidad del popolo.

Tutto ciò era presente anche nel ventennio italiano e ancora ricordo delle scritte celebrative anche negli edifici costruiti negli anni ‘30 della nostra città sociale di Valdagno: “Il popolo è unito nella misura ecc, ecc.

L’aspetto più evidente della presenza del regime sono le “Piazze della Rivoluzione” (c'è sempre una piazza della rivoluzione in tutte le dittature) luoghi deputati alla celebrazione delle ricorrenze, caratterizzate dalla vastità dello spazio e ricchezza dei simboli. C’è la famosa piazza della rivoluzione a L’Habama, che viene riportata in tutti servizi e momenti politici importanti di tutte le trasmissioni ma, soprattutto, quella di Santa Clara, luogo sacro deputato a commemorare il suo grande eroe (defunto) in attesa forse che si aggiunga l’altro, ancora vivente. Santa Clara, va ricordato, è la città dove si è svolta l’ultima battaglia tra le forze governative di Batista e guerriglieri campesinos del Che (una specie di Berlino conquistata dai russi) e ha segnato la fine della guerra la conquista del potere da parte dei Castristi.

Sullo sfondo del vastissimo spazio, l’enorme statua del Che su un piedestallo sovrasta il suo memoriale, luogo dove sono poste le sue spoglie e quelli dei compagni della sua sfortunata campagna in Bolivia. Il memoriale è abbastanza suggestivo, come spesso accade, con una fiamma perenne, mentre il museo dei cimeli, armi, oggetti, abiti, copie delle lettere del Che è posto lì accanto.

Il fatto di aver trovato una lunga fila di turisti che in maniera molto ordinata entravano a visitare memoriale e museo, al di là certamente dell’interesse storico, mi ha fatto pensare che in qualche modo questa fosse una visita pressoché obbligata. Ripeto, è un’impressione che mi fa sorgere la domanda quanto poi tutto questo sia presente nel cuore del popolo. Probabilmente molto, perché con questi continui richiami anche stradali e ovunque nella città l’indottrinamento delle giovani generazioni che non hanno conosciuto la storia precedente, deve essere stato abbastanza capillare e probabilmente ha inciso.

Nei desk turistici degli alberghi e nelle edicole lungo le strade, le guide turistiche dei luoghi e l'indicazione delle attrattive sono ben in secondo piano, mentre in primo piano fanno bella mostra una fila di dépliant, libri, manifesti che riportano, discorsi, massime, detti e imprese del Che e degli eroi della Rivoluzione. Mi viene da pensare che i Cubani, dopo aver fatto la rivoluzione con Fidel, hanno creato la religione del Che e, forse, di Fidel in futuro.


 

Certamente, molte cose possono cambiare, basta vedere la frequentazione altissima di giovani con il loro smartphone nelle zone Wi-Fi free, dove pagando una tessera ricaricabile di pochi pesos (ma di due euro per noi turisti) si può accedere per un’ora di connessione.

A causa di un, chiamiamolo, incidente organizzativo (quanto a programmazione turistica, è bene avvisare, Cuba è molto, molto a livelli approssimativi), per una giornata intera io e mia moglie siamo stati praticamente abbandonati a noi stessi a Trinidad e questo, che è stato veramente un contrattempo, per una specie di eterogenesi dei fini si è rivelata al contrario un’occasione di arricchire il nostro patrimonio di conoscenza perché abbiamo gironzolato, casualmente, tra piazze e strade viottoli di Trinidad, oltretutto, patrimonio mondiale dell’UNESCO.

Lì si è rivelato il vero volto della gente e della vita quotidiana. Le zone turisticamente meno frequentate non appaiono assolutamente degradate, anzi. Semmai si tratta di zone piene di vita, che mi ricordano i primissimi anni 50 del mio paese. La gente vive sulle strade acciottolate, le case sono tutte aperte e evidentemente possiamo guardare dentro, osservando i mobili, le tavole apparecchiate. Le porte sono tutte spalancate, gli interni delle case non vengono oscurati in nome di una presunta privacy, che lì evidentemente non è avvertita.

Tutto è pubblico, forse è così ancora in qualche paesino del nostro sud. Le donne sono sull’uscio della casa in un miscuglio di voci ma anche di razze: Spagnoli, Inglesi e discendenti degli schiavi africani importati per il lavoro della canna da zucchero, hanno creato il confluire di gente veramente “bella”, da cui nasce forse il mito della donna cubana (e questo mescolarsi è un insegnamento per quello che avverrà nella prossima Italia).

Ma la gran parte del traffico dentro e fuori dei paesi si svolge con carretti trainati da un cavallo. Un carretto a più usi, per trasportare ovviamente merci, proprietari, ma soprattutto come taxi. Quando si riempie con cinque sei persone parte, non prima, ma evidentemente non devono poi aspettare tanto. L’altro grande mezzo di trasporto, soprattutto al mattino e alla sera dopo il lavoro, è l’utilizzazione dell’autostop, il che, evidentemente, fa pensare ad orari di lavoro molto flessibili.

Va detto che l’economia cubana si basa essenzialmente sulla produzione di banane, canna da zucchero, tabacco (tutti sanno che i sigari cubani sono i più famosi del mondo). Molto si produce anche per il turismo: le donne creano pizzi e merletti e tovaglie con un ricamo delicato da vendere poi nelle località turistiche. Da qui si capisce come il turismo sia fondamentale per Cuba, mi si dice abbastanza ben coordinato nelle zone di Varadero, rimane molto più approssimativo e da migliorare nelle zone centrali dell’isola di più recente insediamento turistico.

Una certa importanza viene assegnata pure all’agricoltura domestica, ortaggi, animali da cortile, maiali si notano subito attraversando le zone rurali, anche perché li trovi tranquillamente attraversanti ogni strada e perfino l’autostrada a tre corsie di Santa Clara – L’Habana, dove accanto a tanti che chiedono l’autostop ci sono ragazzotti che ti vendono formaggio, ortaggi, frutta…

Alla caduta del muro di Berlino nel 1989 e alle trasformazioni avvenute in Russia, sono mancati i contributi sovietici che, per mezzo dell’acquisto della canna da zucchero, sostenevano tutta l’economia cubana. L’isola nei primi anni ‘90 è stata segnata da una crisi gravissima che ha portato il paese quasi alla fame.

Ma, quanto a taxi, accanto ai vecchi mezzi storici presenti nella città, nei centri minori abbondano i ciclo-taxi. Un triciclo guidato da un ragazzo che porta due passeggeri. Il giovanotto pedala con impegno, sudando alquanto, ma apparentemente instancabile, su strade acciottolate talvolta in salita. Poi scopro che un aiuto gli viene dalla “pedala assistita”, una batteria sotto il sedile del triciclo. Insomma una specie di bici elettrica è arrivata anche qui.

I 5 pesos convertibili (CUC), in pratica cinque euro, che noi diamo per una “corsa”, corrisponde per essi a una cifra altissima, dal momento che un CUC viene convertito in circa 25 pesos nazionali. Se si pensa che lo stipendio di un insegnante a Cuba è di circa 400 pesos nazionali (!), si comprende come la mancia o il corrispettivo dato dal turista per la popolazione rappresenti veramente una grande entrata finanziaria, specialmente per coloro che lavorano nei complessi turistici.

Evidentemente il sistema delle due monete (convertibile e nazionale) è fondamentale. Un esempio: nel grande teatro della capitale la sera si rappresentava un balletto classico: costo per i residenti 30 pesos nazionali (un po’ più di 1 euro), per i turisti 30 CUC (€ 30).

Dal momento che ho visto pochissimi trattori e molti buoi che lavorano nei campi presumo che la popolazione dell'isola sia povera di strumenti per dare sviluppo dell’agricoltura, che sicuramente rimane una grande potenzialità. Nel mio percorso di circa 2000 km all’interno dell’isola ho osservato grandi estensioni di terreno abbandonato accanto ad altre molto curate e ben coltivate con piantagioni di banane, frutta tropicale, canna da zucchero, grandi piantagioni di tabacco. Molto belle poi le palme da cocco e le palme reali, veramente la “pianta” immagine dell’isola, che danno un’immagine irripetibile al panorama cubano.

Ero stato preavvisato fortunatamente; se si soggiorna negli hotel a cinque stelle si possono trovare tutti i comfort a cui siamo abituati noi turisti occidentali, ma anche lì fino a un certo punto, fuori bisogna sapersi adattare, fare, molto spesso, di necessità virtù, se, ad esempio, si utilizzano i servizi igienici di bar e ristoranti. Del resto, la stessa igiene personale non sembra molto praticata. Ma questo spirito di adattamento, credo, faccia parte del bagaglio di ogni viaggiatore che esca dai circuiti rigidamente prefissati del tour operator, per non soffrire troppi disagi! Eppure, le strade di città e paesi sono pulitissime, evidentemente una forma di educazione civica e di rispetto per l’ambiente non sono mancate.


 

Poveri cubani?

Anche se tutta una certa fascia di popolazione giovanile non gira senza lo smartphone, che anche lì sembra diventato un prolungamento di se stessi, certamente povera lo è.

Ma è povera rispetto a quello che abbiamo noi europei, che abbiamo un sacco di cose all’ultimo grido, sono poveri come noi lo eravamo negli anni 50, prima del boom economico. Mendicanti ne ho visti pochi, evidentemente c’è anche un certo controllo, ma, a dire il vero, non sono proprio assenti. Quello che manca assolutamente è quel vociare non solo dei ragazzini ma anche di adulti talvolta, che ti assediano per chiederti qualcosa, di cui ho fatto esperienza in molti paesi non solo mediorientali.

Ho ricordato che tutta l'isola è tempestata di grandi cartelli che ricordano quelli elettorali nostri almeno 6x3 con frasi incitanti alla prosecuzione della rivoluzione. Sono gli stessi che tempestavano anche l’Italia nel ventennio: “credere obbedire e combattere” nella forma, ma soprattutto nella sostanza sono gli stessi. Allora si incitava alla costruzione del fascismo qui invece si inneggia alla rivoluzione (socialista). Manifesti indicatori delle sedi del PCC partito comunista cubano sono ampiamente indicate nella segnaletica anche nei centri minori.

A me sembra che il popolo di Cuba sia un popolo di grande dignità, comunque, almeno, è sempre molto sorridente, il che, se permettete, ai nostri tempi non è una cosa che non si possa notare.

In conclusione, Cuba è bella, ha meritato il viaggio ma, soprattutto, è stato per me un grande viaggio d’istruzione.

Antonio Boscato