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ANCORA SULLA DOMANDA

 

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Quando qualcuno fa a voi una domanda, potreste avere la risposta immediata oppure rimanere in silenzio. Come vanno giudicate le risposte di chi interviene sempre, ma anche il silenzio di chi non apre mai bocca?

  • Chi risponde sempre, dimostrando di avere una risposta immediata a ogni domanda, dimostra di essere sempre molto bravo?

Dipende: ci sono quelli che rispondono a caso senza prima di aver capito la domanda o averci pensato un po' su (si dicono perciò irriflessivi). Dimostrano o di non essere stati attenti alla domanda, di non averla capita, ma, di solito, rispondono a casaccio solo per farsi notare.

Ci sono quelli che se ne stanno sempre in silenzio. Come dobbiamo giudicare ciò?

  • Quando il non rispondere mai dipende da una timidezza (“io saprei anche rispondere, ma me ne sto zitto perché ho paura di sbagliare e non voglio fare una brutta figura, oppure penso che gli altri mi prendano in giro…”), questo non va bene. Dobbiamo convincere a superare la propria insicurezza, mettendosi alla prova.

Può essere invece una buona qualità se io la risposta uno proprio non la sa. Se ne sta perciò in silenzio, aspettando di avere la risposta da altri, disposto ad assimilare meglio una nuova conoscenza.

Non pensate per ora di aver già raggiunto il titolo di “filosofi”[1].

Quando due persone si parlano, può essere che si scambino informazioni, oppure può essere che uno ponga delle domande cui l'altro è invitato a rispondere diciamo in questo caso che tra le persone si svolge un dialogo.

L'insegnante fa delle domande all'alunno durante l'interrogazione e questi, se può, risponde. Possiamo dire che questa è un'esperienza di dialogo?[2]

C’è sempre un’esperienzasociale “ (ci vogliono almeno due persone, una chiede e una risponde). S’impara sempre da qualcuno (anche le tigri imparano dalle tigri a fare le tigri - una nata in cattività non diventerà mai una vera tigre, forse avrà difficoltà a cavarsela da sola nella foresta).

Ripartiamo dall'esempio fatto del bambino che fa domande “da bambino” al papà. Lo possiamo considerare un dialogo? In che cosa è diverso dall’interrogazione da parte dell'insegnante all'alunno?

  1. Il bambino chiede e il papà risponde per mezzo di un linguaggio. Il linguaggio permette all’individuo di ricevere e comunicare informazioni.
  2. Attraverso il linguaggio avviene la comunicazione (che presuppone il dialogo, cioè la presenza di un “io” e un “tu”, un soggetto e un destinatario). La comunicazione presuppone che ci si possa parlare, ci si conosca, esistano dei legami. (Io non vado a chiedere qualche cosa, specialmente se importante, a chi non conosco, ci giro al largo...).

Socialità, linguaggio, comunicazione (cioè, l’insieme dei rapporti di conoscenza, di stima, di dialogo che legano le persone che si trovano a stare assieme) formano il contesto.

A pensarci bene però, la parola piace poco, io preferisco sostituirla con la parola comunità.

La comunità ha le sue regole, ma quale quella più importante?

Ho posto una domanda: quali sono le regole che dovrebbero tenere insieme una comunità? Infatti, se non ci sono regole, o leggi, neppure l'universo potrebbe funzionare a dovere (e, certamente, l'universo ha le sue leggi, che l'uomo impara conoscere attraverso la scienza e).

Le vostre risposte sono state diverse: il rispetto, la collaborazione, andare d'accordo, essere pazienti, saper sopportare, …

C'è una “legge” che le riassume (che comprende) tutte?

Per ora, io vi ho suggerito la regola delle regole: avere un progetto comune.

Ma questo è un discorso che riprenderemo un po' più avanti.

Come risponde il papà?

Non ci interessano le domande del bambino, ma possiamo ricavare interessanti osservazioni analizzando come il papà risponde alle domande del bambino sulla questione della natura delle nuvole.

Potrebbe rispondere in vari modi, ad esempio:

  1. 1.       “Piove perché il diavolo si pettina “.
  2. 2.       “Il cielo qualche volta piange perché pure esso è triste “.
  3.  “Piove perché il vapore acqueo condensato precipita a terra per effetto della gravità “.

Le risposte che abbiamo riportato possono essere classificate nei tre seguenti tipi:

  1. Risposta Irrazionale/Magica.
  • Potremmo definirla  “arcaica”, perché l’uomo preistorico, di fronte a fenomeni, che non comprendeva, faceva riferimento a sentimenti irrazionali, come la paura, o a rituali magici per placare l’ira degli dei.

 L’uomo (pensiamo all’uomo primitivo di fronte a fenomeni come il fulmine o l’eclisse di sole) nella risposta magica esprime  “spavento o meraviglia” Egli, di fronte a forze ignote, non può reagire che cercando di portarle a suo favore, ingraziarsele, con dei riti o con dei sacrifici.

Si può paragonare a uno scolaro che, di fronte a un professore nuovo, ancora non conosciuto e considerato dai compagni più informati  “severissimo”, cerca di mostrarsi umile e servizievole, di non creare in lui un’im-magine negativa per non essere preso di mira. L’atteggiamento dell’uomo nel pensiero  “magico” non può che essere un atteggiamento servile.

  1. Il secondo tipo di risposta è invece poetico, usa delle metafore (la pioggia è  “l’immagine” del pianto).
  • Abbiamo chiamato questa risposta simbolica o metaforica – si può chiamarla  “mitica”  o  “prescientifica”. I Greci, infatti,  costruivano i loro miti (storie) che assegnavano un valore di simbolo a un avvenimento o a un aspetto della realtà. Il mito di Sisifo diventa un simbolo per rappresentare l’eterno ripetersi delle stagioni o della vita degli esseri; il mito di Narciso è il simbolo dell’uomo che deve aprirsi verso gli altri, non rimanere chiuso in se stesso, pena la sua  “morte interiore”.
  • In che senso il pensiero mitico, pur non essendo scientifico, è un tipo di pensiero più avanzato? Perché è comunque una forma di rappresentazione del mondo, secondo delle  “leggi” che sono prodotte anche dal pensiero umano (leggi di giustizia, di vendetta, del bene e del male - categorie etiche - e non dettate da forze irrazionali e oscure).

Nel pensiero mitico c’è già molto del pensiero dell’uomo, soprattutto una sua visione del mondo. L’atteggiamento dell’uomo non è più servile, ma risponde a delle regole precise (l’uomo, in certi casi, può anche opporsi agli Dei, come Sisifo o Prometeo).

  1. La terza risposta, che il papà dà al bambino, invece ha le caratteristiche delle risposte scientifiche. Un fenomeno è conosciuto in modo scientifico quando può essere:
  • Descritto e Controllato (scomposto nelle sue varie fasi e nelle sue parti: “Che cosa avviene prima... durante... dopo”).

Uno non avrebbe capito niente della pioggia se in un tema adoperasse questa espressione: “Il cielo era tutto di un limpido cristallino azzurro e la pioggia scendeva a dirotto”, non sarebbe stato messo in relazione il fenomeno pioggia con la presenza almeno in parte di nuvole in cielo[3].

  • Riprodotto, ad esempio con un esperimento in laboratorio.

Quando ho capito esattamente che cosa è la neve, da quali leggi è regolata in natura, posso fabbricarla artificialmente (ad esempio con i cannoni in montagna).

  • Riferito a un modello di leggi matematiche o fisiche, scoprire se altri fenomeni rispondono alle stesse leggi e, quindi, sono riportabili allo stesso “modello interpretativo”[4].

L’uomo dimostra così che è padrone della realtà, perché ha compreso come essa veramente è e come funziona.

Quando si giunge alla risposta scientifica si delinea anche il  “metodo scientifico “, che è il modo con cui è stato svolto l’insieme di operazioni teoriche e pratiche che l’uomo ha fatto per giungere appunto alla conoscenza scientifica della realtà.



[1] Cioè di "amici della sapienza".

[2] Credo che la risposta possiate trovarla da soli con un po’ di riflessione!

[3] È una osservazione talmente scontata da sembrare banale, eppure errori di questo tipo se ne trovano. Quante volte nella scuola media (ma solo fino alla scuola media?) lo studente si lascia trasportare dalla distrazione da non accorgersi neppure dei più semplici rapporti di causa-effetto?

[4] Qui comincio a farmi prendere la mano dai paroloni difficili. È però un trucco, perché a questo punto voi dovreste andare dall'insegnante di scienze e chiedergli di spiegarvi cos'è un modello interpretativo. Ne avete il coraggio?